Il giudice dell'impugnazione, a seguito di abolitio criminis per intervenuta depenalizzazione della fattispecie di reato, deve pronunciarsi in ordine alle statuizioni civili della sentenza Cass. Pen., Sez. II, 08.03.2016, n. 21598

lunedì, 6 giugno 2016 / Matteo Corcioni / Sentenze

Depenalizzazione e risarcimento della parte civile: nel caso di condanna in primo o in secondo grado per danneggiamento non aggravato, qualora, a seguito della trasformazione di tale reato in illecito civile (ai sensi del D. Lgs. n. 7/2016), sia stata proposta impugnazione, il giudice dell’impugnazione nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato a seguito della “abolitio criminis” e trasformazione della fattispecie in illecito civile ex art. 4 lett. c) del D. Lgs. n. 7/2016, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

(Massima non ufficiale)

 

Cass. Pen., Sez. II, 08.03.2016, n. 21598 (dep. 24.05.2016)

 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27.9.2012, il Giudice di Pace di Agordo dichiarò P.N. responsabile del reato di cui all’art. 635 c.p., (danneggiamento degli impianti idraulici in data (OMISSIS) delle camere nn. (OMISSIS) dell’Hotel (OMISSIS), con conseguente allagamento delle stanze in questione, nonché dei locali dell’albergo di proprietà di D.P.M.) e lo condannò alla pena di Euro 1.500,00 di multa nonché al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, assegnando una provvisionale di Euro 12.000,00 a favore della costituita parte civile. Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e il Tribunale di Belluno, con sentenza del 2.12.2013, confermava la decisione di primo grado.

2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo:

1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d) ed e), per violazione dell’art. 495 c.p.p., per mancata assunzione di uno dei testi indicati a discarico, e difetto di motivazione sul punto;

2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per violazione dell’art. 192 c.p.p., comma 2, in assenza di indizi gravi precisi e concordanti, nonché difetto e/o contraddittorietà della motivazione, travisamento delle prove, illogicità manifesta in relazione al giudizio di responsabilità: P.N. è stato ritenuto responsabile del fatto reato solo perché visto nei pressi dell’albergo dai testimoni G. e C., ma non è dato comprendere da quale fatto i giudici di merito abbiano concluso che il G. conoscesse bene il ricorrente e l’altro non lo avesse potuto confondere con il fratello;

3) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), e dell’art. 546 c.p.p., lett. e), e difetto di motivazione in relazione all’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice non ha ritenuto attendibili le prove contrarie;

4) violazione dell’art. 606, lett. e) difetto di motivazione circa la quantificazione del danno e della provvisionale;

5) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), violazione di legge circa il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche;

6) la violazione dell’art. 606, lett. e), difetto di motivazione in punto pena e quantificazione della provvisionale.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

3. Il difensore della parte civile, in data 5.3.2016, ha depositato memoria con la quale confuta punto per punto le deduzioni difensive, e conclude chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile per i motivi enunciati in memoria, o comunque rigettato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare, rileva il Collegio che la condanna di cui alla sentenza impugnata si riferisce al reato di danneggiamento contestato nella forma non aggravata, e che il reato di cui all’art. 635 c.p., è stato sostituito dal D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 2, nell’attuale formulazione, che esclude rilievo penale all’ipotesi di danneggiamento non aggravato in questione; e anche l’eventuale inammissibilità del ricorso per cassazione in ragione della non specificità o della manifesta infondatezza dei motivi non è di ostacolo a che sia in questa sede rilevata l’intervenuta abrogazione della norma incriminatrice.

1.2 Ai sensi del D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 4, lett. c), le ipotesi di danneggiamento non aggravato, se i fatti sono dolosi (art. 3), costituiscono ora illecito civile e obbligano oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno, anche al pagamento della sanzione pecuniaria da euro cento a euro ottomila. L’art. 5 del medesimo decreto dispone poi che l’importo della sanzione pecuniaria civile è determinato dal giudice tenuto conto dei seguenti criteri:

a) gravità della violazione, b) reiterazione dell’illecito, c) arricchimento del soggetto responsabile; d) opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito; e) personalità dell’agente; f) condizioni economiche dell’agente. Ai sensi del successivo art. 8, le sanzioni pecuniarie civili sono quindi applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno, al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposto dalla persona offesa. Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili si applicato anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso (6 febbraio 2016), salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti.

1.3 Con il D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, è stata data attuazione a quanto stabilito dalla L. n. 67 del 2014, art. 2, comma 3, in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili. È questa la grande novità della riforma, che incide non solo sul contenzioso penale, essendo stati "abrogati" una serie di reati (di cui agli artt. 485, 486, 594, 627 e 647 c.p.) e modificati altri (tra cui quello di danneggiamento di cui all’art. 635 c.p.), ma anche sul contenzioso civile, in quanto l’azione civile (di risarcimento del danno), che prima della riforma poteva essere esercitata alternativamente in sede penale o in sede civile, dovrà essere esperita esclusivamente innanzi al giudice civile, e il giudice decide, anche d’ufficio, qualora accolga la domanda di risarcimento del danno, così condannando la parte al pagamento di una sanzione pecuniaria civile che, per espressa previsione di legge, va devoluta alla Cassa delle Ammende.

Il D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 12, detta le disposizioni transitorie. La norma transitoria risolve le ricadute processuali della riforma in modo lineare, oltre che conforme alla disposizione adottata con il D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, in materia di disapplicazione e più in generale alle disposizioni adottate in tema di depenalizzazione; tratto comune a entrambi i decreti è costituito dall’applicabilità tanto delle sanzioni amministrative relative agli illeciti depenalizzati, quanto di quelle pecuniaria civili, anche ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore dei due decreti.

Al fine di assicurare l’applicazione retroattiva della nuova disciplina in esame e di evitare disparità di trattamento, viene dunque stabilito, all’art. 12 in questione, comma 1, che "le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili".

In tale ipotesi, ossia quando ancora non sono state pronunciate sentenze o decreti irrevocabili, dovendo trovare applicazione retroattiva la norma più favorevole, e fermo restando il principio espresso dalla Cassazione secondo cui “la presenza di una “abolitio criminis” non esime il giudice dall’obbligo di applicare una formula di assoluzione o di proscioglimento più favorevole nel merito, a condizione tuttavia che esista già agli atti la prova evidente per una assoluzione in fatto", il giudice non potrà che dichiarare che il "fatto non è più previsto dalla legge come reato", adottando tutti i provvedimenti conseguenti (v. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 45562/2001 Rv. 220740) 1.4 Il D .Lgs. n. 8 del 2016, art. 9, in materia di depenalizzazione, contiene ulteriori disposizioni transitorie al fine di disciplinare, nell’ipotesi che la depenalizzazione sia sopravvenuta nel corso del procedimento penale, la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni amministrative, e la sorte delle statuizioni civili già adottate. In tal senso il comma 3 dell’articolo citato prevede espressamente che “se l’azione penale è stata esercitata, il giudice pronuncia, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., sentenza inappellabile perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, disponendo la trasmissione degli atti a norma del comma 1. Quando è stata pronunciata sentenza di condanna, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili”.

Nessun dubbio sulla costituzionalità della norma; anche di recente la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 12 del 2016 (nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 538 c.p.p., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., nella parte in cui non consente al giudice di decidere sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno quando pronuncia sentenza di assoluzione dell’imputato in quanto non imputabile per vizio totale di mente), ha affermato, alla stregua di altra e più antica giurisprudenza, che il Legislatore resta certamente libero, nella sua discrezionalità, di introdurre, in vista di una più efficace tutela della persona danneggiata dal reato e del conseguimento di maggiori risparmi complessivi di risorse giudiziarie, una disciplina ampliativa dei casi nei quali il giudice penale si pronuncia sulle questioni civili, pur in assenza di una condanna dell’imputato.

1.5 Un’analoga disposizione manca nel decreto in esame. Occorre quindi domandarsi quale debba essere la sorte dell’eventuale costituzione di parte civile in giudizio e/o dell’eventuale statuizione di condanna per la responsabilità civile pronunciata dal giudice di primo grado, nelle ipotesi di reati trasformati in illeciti civili di cui al D. Lgs. n. 7 del 2016. Nel primo caso, ossia quando la persona offesa si sia costituita parte civile nel giudizio di primo grado ed il giudice definisca il processo con sentenza di proscioglimento, perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, egli non potrà pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno con la conseguenza che la parte civile potrà (se lo vorrà) riassumere il procedimento innanzi al giudice civile.

Depone in questo senso il chiaro dettato dell’art. 538 c.p.p., a norma del quale il giudice decide sulla domanda per le restituzioni ed il risarcimento del danno quando pronuncia (ma solo quando pronuncia) sentenza di condanna, non anche quando prosciolga l’imputato. Più problematica appare la seconda ipotesi, ovvero allorché sia già intervenuta una sentenza di condanna (in primo o secondo grado), avverso la quale sia proposta impugnazione. Ritiene a riguardo il Collegio che, dall’assenza di una norma transitoria che disponga, in modo esplicito, che il giudice dell’impugnazione è tenuto a pronunciarsi in ordine agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili non consegue comunque, solo per questo, che le statuizioni in questione debbano essere revocate.

Né ciò può dedursi dalla circostanza che la norma di cui all’art. 578 c.p.p., prevede espressamente che il giudice dell’impugnazione è tenuto a pronunciarsi in ordine agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili, in caso di dichiarazione di reato estinto per prescrizione o per amnistia. Altre infatti sono le ragioni che impongono al giudice penale di pronunciarsi sulle statuizioni circa il risarcimento di un danno per un fatto ora “civilizzato”, e ciò a prescindere dalla circostanza che si sia trattato o meno di una svista normativa.

1.6 In base all’art. 2 c.p., comma 2, l’intervenuta “abolitio criminis” determina la cessazione dell’esecuzione e degli effetti penali della condanna; dalla dizione della norma si evince chiaramente, argomentando a contrario, che le obbligazioni civili nascenti dal reato non “cessano”. È quindi giurisprudenza consolidata di questa Corte, che la revoca della sentenza di condanna (divenuta definitiva) per “abolitio criminis” - conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto - non comporta il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto, con la conseguenza che la sentenza non deve essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (v., tra le tante, Cass. Sez. 5, Sent.4266/2006 Rv. 233598; Sez. 5, Sent. n. 28701/2005, Rv. 231866; Sez. 3, Sent. n. 1029/1993 Rv. 194042).

Tale principio pacificamente riconosciuto in caso di revoca di sentenza di condanna passata in giudicato non riguarda solo la sentenza in questione, bensì anche la sentenza di condanna non ancora divenuta irrevocabile. Riguardo ai diritti del danneggiato dal reato in ordine alle statuizioni civili non si applicano, infatti, i principi della successione nel tempo delle leggi penali, fissati dall’art. 2 c.p., bensì il principio stabilito dall’art. 11 preleggi, secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire”.

Ed essendo il divieto di efficacia retroattiva derogabile solo per effetto di una legge successiva che disponga diversamente, in assenza di una qualche disposizione in tale senso ne consegue che, anche a seguito di “abolitio criminis”, le modifiche legislative non possono incidere sui diritti in questione. La formula assolutoria adottata a seguito della sopravvenuta abrogazione della norma incriminatrice non è, poi, tra quelle alle quali l’art. 652 c.p.p., attribuisce efficacia nel giudizio civile.

Se, quindi, il fatto per il quale vi è stata condanna è stato depenalizzato, e il procedimento è ancora pendente, deve ritenersi che il giudice, nel momento in cui dichiara non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, sia comunque tenuto a pronunciarsi sugli effetti civili (v., in tal senso, Cass. Sez. 5, sent. n. 7124/2016, Portera Gianna Michela, non massimata, nella quale si afferma “l’attitudine delle statuizioni civili pronunciate nel giudizio di merito a sopravvivere all’intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto”, in ipotesi di falso in scrittura privata, e ricorso proposto non dall’imputata bensì dal responsabile civile).

D’altra parte al D. Lgs. 15 settembre 2016, n. 7, art. 12, comma 1, prevede che le “disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili”.

Il legislatore delegato, quindi, ha chiaramente disposto, anche per i procedimenti penali non definiti con sentenza o decreto divenuti irrevocabili, l’applicazione delle disposizioni previste da questo decreto. Tra queste, quella di cui al D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 3, comma 1, che prevede che i "fatti previsti dall’articolo seguente, se dolosi, obbligano, oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita". Da quanto statuito dal dettato normativo, letto congiuntamente a quanto sancito dal D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 12, comma 1, sembrerebbe emergere poi che anche il giudice penale è legittimato a riconoscere il risarcimento del danno per i nuovi fatti "civilizzati" commessi, prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 7 del 2016, e ciò salvo che il procedimento penale sia stato definito.

A questo proposito, non rileverebbe, in senso contrario il D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 8, comma 1, il quale statuisce che le "sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell’azione di risarcimento del danno"; infatti, detta norma si limita per l’appunto a stabilire non tanto che il giudice possa disporre il risarcimento del danno quanto piuttosto che il medesimo possa applicare sanzioni pecuniarie civili a seguito del riconoscimento del danno da illeciti civili dolosi.

Inoltre, posto che nell’applicazione della legge si deve tener conto dell’intenzione del legislatore (art. 12 preleggi), e che, come emerge nella relazione illustrativa di accompagnamento allo schema del decreto legislativo recante disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3, è stato ritenuto come al D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 12, comma 1, possa essere applicato anche per le condotte già sancite penalmente, purché "il relativo procedimento penale sia tuttora pendente", va da sé che, proprio attenendoci all’intenzione del legislatore, questa normativa è applicabile anche per i procedimenti penali pendenti.

1.7 Questa Corte, con una recente pronuncia, nella quale si faceva riferimento "alla questione della conservazione delle statuizioni civili relative alla condanna per il reato di concussione a seguito della riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 319 quater c.p., in conseguenza dell’entrata in vigore della L. n. 190 del 2012, ed, in un caso in cui la rilevata prescrizione del reato di induzione indebita comunque non esentava la Corte dall’esaminare il ricorso in relazione alle suddette statuizioni in forza del disposto dell’art. 578 c.p.p.", richiamando la citata giurisprudenza formatasi in materia di "abolitio criminis", e ribadendo il principio che la legge sopraggiunta non determina alcun effetto sul capo della sentenza che ha accertato il diritto al risarcimento del danno, ha affermato che, in considerazione della natura prettamente civilistica del diritto al risarcimento del danno, deve conseguentemente escludersi l’applicabilità ad esso del principio penalistico della successione delle leggi di cui all’art. 2 c.p., trovando applicazione, in questo caso i principi generali di cui all’art. 11 preleggi, che pongono il divieto di effetti retroattivi, prevedendo che la legge, anche quella penale, per quanto riguarda gli effetti civili, dispone solo per l’avvenire. In altri termini, in presenza di un fatto ingiusto che ha cagionato un danno, il diritto del danneggiato al risarcimento permane, a nulla rilevando le successive modifiche legislative "nei casi in cui la modifica legislativa "trasforma" in condotte lecite fatti che erano penalmente rilevanti" (Cass. pen., Sez. 6, sent. n. 31957/2013 Rv. 255598).

1.8 A ciò aggiungasi, che, nella fattispecie, con il decreto in questione il legislatore è pervenuto più che a una vera è propria abrogazione, a una depenalizzazione "diversa", anche in considerazione del fatto che trattasi, per lo più, di reati procedibili non d’ufficio, bensì a querela di parte. Il legislatore, pertanto, accanto ai reati trasformati in illeciti amministrativi di cui al D. Lgs. n. 8 del 2015, ha previsto che altri - tra cui il danneggiamento "semplice" non aggravato ai sensi dell’attuale riformulazione dell’art. 635 c.p. - perdano il carattere di illecito penale per assumere quello di illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria, se commesso con dolo, come previsto dall’art. 4 del decreto in esame. Il modello preso a riferimento dal legislatore delegato con l’introduzione della nuove sanzioni più che alla c.d. pene private elaborate in dottrina e ricondotte ad alcune fattispecie (art. 12 L. Stampa, art. 129 bis c.c., art. 709 ter c.p.c.), pare ispirato ai c.d. "punitive damages" o danni punitivi previsti nei sistemi del common law, e infatti - così come accade per i "punitive damages" - la sanzione civile si affianca al risarcimento del danno vero e proprio ed ha natura meramente indennitaria, in quanto la somma dovuta dal soccombente è preventivamente stabilita dalla legge e non è parametrata sull’entità del pregiudizio subito dall’attore.

Inoltre, non trova origine nella volontà negoziale delle parti, ed è marcatamente più sanzionatoria rispetto alle pene private, in quanto volta a reprimere solo le condotte dolose. Quanto ai presupposti dei nuovi illeciti, l’elemento oggettivo è rinvenibile nelle definizioni di cui all’art. 4 il quale espressamente descrive le condotte, e in particolare al comma 1, lett. c), che riporta lo stesso testo ("chi distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte inservibili cose mobili o immobili altrui") di cui al vecchio art. 635 c.p., comma 1, l’elemento soggettivo è caratterizzato dal dolo. In tal modo, stabilisce la legge una sorta di continuità normativa tra la vecchia norma di cui all’art. 635 c.p., comma 1, e il nuovo illecito civile di cui all’art. 4, comma 1, lett. c), del decreto in questione. E ciò tanto più che le sanzioni pecuniarie, previste nel loro minimo e massimo, sono infine modulabili dal giudice, secondo i criteri di commisurazione previsti dall’art. 5, di cui alcuni sono già conosciuti all’interno del processo civile, ma altri sono ad esso del tutto estranei. Estranea al diritto civile, e ripresa dai criteri di cui all’art. 133 c.p., è anche l’indagine sulla personalità dell’agente.

1.9 Tanto premesso, e rilevato che con il decreto in questione si è giunti ad una particolare forma di depenalizzazione, e che le forme di illecito sono in perfetta continuità normativa con gli "abrogati" reati, sicché solo impropriamente può parlarsi in questi casi di abrogazione, appare del tutto evidente che dalla mancanza di una previsione di una norma transitoria ad hoc (come invece nel D. Lgs. n. 8 che testualmente prevede all’art. 9, che "il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è previsto dalla legge come reato, decide sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili"), a parere di questo Collegio, non può ragionevolmente trarsi argomento per dedurne la revocabilità nella fattispecie delle statuizioni civili. Anzi, alla revoca delle statuizioni in parola potrebbe legittimamente pervenirsi, solo in presenza di una norma transitoria specifica che prevedesse una deroga in tal senso (analogamente a quanto avvenuto all’art. 12 per l’applicabilità delle sanzioni pecuniarie civili ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto) al dettato di cui all’art. 11 preleggi.

1.10 Nè la revocabilità nella fattispecie delle statuizioni civili trova poi giustificazione alcuna nella giurisprudenza costituzionale che, evidenziando l’accessorietà dell’azione civile rispetto al processo penale, rileva che l’assetto generale del nuovo processo penale è ispirato all’idea della separazione dei giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice, l’esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all’interesse del soggetto danneggiato di esperire la propria azione nel processo medesimo. E ciò tanto più ora che in attuazione della direttiva europea che ha preteso un rafforzamento della posizione del soggetto leso, indicato quale "persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono state causate direttamente da un reato", si va delineando un nuovo sistema processuale penale, nel quale la parte offesa è destinataria di una serie di informazioni e comunicazioni, anche in tema di "ristorative justice", con le quali si intende, dichiaratamente, promuovere l’incontro fra vittima e reo, quale occasione per ottenere una riparazione del danno, e al contempo favorire la reintegrazione e la riabilitazione del colpevole, in vista di epiloghi "più costruttivi e meno repressivi". Con la conseguenza di un inevitabile e progressivo affievolimento dello stesso principio di accessorietà dell’azione civile rispetto al processo penale.

1.11 La revocabilità delle statuizioni civili nella fattispecie presenta poi dei profili di incoerenza sistematica. Sarebbe, infatti, ben incoerente un sistema nel quale, depenalizzate una serie di ipotesi di reato, solo per i nuovi fatti illeciti "civilizzati" (per i quali è poi sicuramente più frequente la proposizione dell’azione civile all’interno del processo penale) e non per gli altri fatti oggetto di depenalizzazione, fosse inibito al giudice penale l’esame dell’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni civili. E, quindi, da ciò ne dovrebbe conseguire, ove mai ve ne fosse bisogno, l’applicabilità della disposizione transitoria del D.Lgs. n. 8 (per i reati depenalizzati), anche ai fatti illeciti "civilizzati" di cui al D.Lgs. n. 7.

2. Stabilita l’attitudine della statuizioni civili pronunciate nel giudizio di merito a sopravvivere all’intervenuta abrogazione della rilevanza penale del fatto il cui accertamento le ha giustificate, deve procedersi ora all’esame del ricorso, il quale non può essere accolto per la non condivisibilità od inammissibilità delle censure articolate nei motivi che lo compongono.

2.1 Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta mancata assunzione del teste a discarico C.R., attesa l’omessa motivazione in merito alla richiesta rinnovazione dibattimentale. La censura è priva di fondamento. La rinnovazione del dibattimento è istituto del tutto eccezionale; soltanto la rilevanza e la decisività dei fatti, non potuti provare in primo grado, nelle ipotesi di legge e nel concorso delle richieste condizioni, possono consentire la rinnovazione del dibattimento (v., tra le tante, Cass. Sez. 2, sent. n. 8106/2000 Riv. 216532), e il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello può essere motivato, come nel caso di specie, anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili (Cass. Sez. 4, sent. n. 47095 /2009 Rv. 245996). A ciò aggiungasi che all’esito dell’udienza del 28.6.2012, il giudice di pace ha rinviato il procedimento per discussione, e non risulta (e neppure vi è alcuna deduzione in tal senso da parte del ricorrente) che all’atto del disposto rinvio, o all’udienza di discussione, vi sia stata da parte del difensore dell’imputato alcuna opposizione alla chiusura dell’istruttoria dibattimentale, con conseguente acquiescenza al provvedimento del giudice di primo grado (v. Cass. Sez. 5, sent. n. 7108/2015 Rv. 266076).

2.2 Con il secondo motivo, si duole il ricorrente della violazione dell’art. 192 c.p.p., e del vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento dei fatti, in relazione al giudizio di responsabilità essendo del tutto insufficienti e contraddittori gli indizi a carico dell’imputato. Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 546 c.p.p., lett. e, e il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta inattendibilità delle prove a favore dell’imputato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado "concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza si salda con quella precedente" (Cass. Sez. 1, Sent. n. 8886/2000, Sangiorgi, Rv. 216906), e i motivi di ricorso devono essere esaminati alla luce della complessiva motivazione adottata da entrambe le decisioni di merito. L’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente poi al giudice di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Nei casi di una "doppia conforme", ovvero di una doppia pronuncia di eguale segno, il vizio di "travisamento della prova" può essere quindi rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione e allegazione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. 4, sent. n. 19710/2009). Tanto premesso, rileva il Collegio che entrambe le doglianze sono prive di consistenza e formulate in termini di una inammissibile richiesta di rivalutazione di fatti. I giudici di merito, con motivazione congrua ed esente da evidenti vizi logici, hanno puntualmente indicato come la presenza dell’imputato sul posto sia stata riferita dai testi G. e C., e che il teste G. ben conosceva l’imputato, aveva parlato con lui proprio il giorno dei fatti ((OMISSIS)), e pertanto non avrebbe potuto confonderlo con il fratello come asserito dalla difesa, e rilevato come la persona offesa abbia reso una deposizione coerente con quanto affermato in querela, mentre i testi della difesa non hanno fornito alcun elemento concreto tale da escludere la presenza del P. in (OMISSIS) il giorno dell’avvenuto danneggiamento (v. 3 - 5 della sentenza di primo grado). E contro tali valutazioni dai motivi in esame sono formulate mere contestazioni di veridicità, in un impensabile tentativo di ottenere da questa Corte di legittimità un revisione di merito delle valutazioni stesse.

2.3 Il quarto motivo sulla quantificazione del danno è manifestamente infondato; il giudice ha rimesso la quantificazione del danno al giudice civile, limitandosi a concedere una provvisionale, tenuto conto delle circostanze emerse dall’istruttoria (dichiarazioni del comandante della Stazione dei Carabinieri di (OMISSIS) e del vigile del fuoco intervenuti sul luogo del fatto, della parte offesa e della figlia della parte offesa circa i lavori effettuati per il ripristino dei locali danneggiati). Rileva, inoltre, il Collegio che la pronuncia circa l’assegnazione di una provvisionale in sede penale ha carattere meramente delibativo, e non acquista efficacia di giudicato in sede civile, mentre la determinazione dell’ammontare della stessa è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito che non è tenuto a dare una motivazione specifica sul punto. Ne consegue che il relativo provvedimento non è impugnabile per cassazione in quanto, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato, è destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (cfr. Cass. Sez. 5, Sent. n. 40410/2004 Rv. 230105).

2.4 Il quinto e sesto motivo concernono le attenuanti generiche e la pena, e pertanto non devono essere oggetto d’esame, non essendo più il fatto previsto dalla legge come reato.

2.5 Poiché dagli atti non emerge la prova evidente per una assoluzione in fatto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perchè il fatto non è più previsto dalla legge come reato, e configurando la condotta - per quanto sopra detto - gli estremi dell’illecito civile di cui al D. Lgs. n. 7 del 2016, art. 4 comma 1, lett. c, vanno confermate le statuizioni civili.

Il ricorrente va altresì condannato alla rifusione delle spese sostenute in questo grado di giudizio dalla parte civile D.P. M., che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non è più più visto dalla legge come reato. Conferma le statuizioni civili.

Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado della parte civile D.P.M. che liquida in Euro 3.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2016 

 

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