Uno dei principali problemi della giustizia, sia civile che penale, è pacificamente divenuto da tempo quello di dare risposta quanto prima possibile alla domanda, provenga questa dal pubblico o dal privato. Nelle intenzioni del legislatore, un forte impulso in tal senso avrebbe dovuto provenire da alcuni accorgimenti volti a rendere più agili certi meccanismi, alleggerendo così il lavoro a carico delle cancellerie e dei magistrati. Sicuramente in campo civile due strumenti in linea con tale intenzione sono individuabili nel P.C.T. (Processo Civile Telematico) e nelle notifiche a mezzo P.E.C. (Posta Elettronica Certificata).
Ma siamo sicuri che ciò avvenga davvero o, meglio, che tali strumenti siano sufficienti? Oppure è necessario comunque altro?
Il caso che segue, assolutamente vero, risulta emblematico.
Ricorso per Decreto Ingiuntivo di pagamento per fornitura merci depositato in data 19.10.2015: la domanda è fondata su due fatture solo parzialmente onorate e sui rispettivi D.D.T., regolarmente sottoscritti dal destinatario a conferma dell’effettiva consegna della merce, oltre che da successivi ripetuti solleciti.
In data 9.11.2015 il Giudice designato richiede il deposito dell’estratto autentico delle scritture contabili entro 40 giorni, pena il rigetto della domanda, ritenendo “insufficienti i D.D.T. privi d’indicazione di prezzo”.
Ovvio, chiaramente, che la quantità di prodotto indicato in ciascuna fattura corrisponde esattamente a quella indicata sul rispettivo D.D.T.: ogni fattura infatti indica il prezzo imponibile, l’IVA, il prezzo complessivo, i termini di pagamento e, infine, richiama espressamente quel particolare D.D.T.. Ma tant’è…
Sul presupposto, poi dimostratosi fondato, di quanto sarebbe stato difficile confrontarsi col Magistrato su tale richiesta, per risolvere la cosa più rapidamente si provvede ad ottenere dalla mandante il richiesto estratto autentico delle scritture contabili (anche se nella forma meno onerosa della dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà), provvedendo al deposito in data 19.11.2015; quindi, in data 30.11.2015, il richiesto D.I. viene concesso.
Sono così già trascorsi 42 giorni.
Ma il “bello” deve ancora venire: ovviamente il D.I. deve essere notificato alla parte ingiunta, ciò che avviene a mezzo P.E.C. ex L. 53/94 sempre in data 30.11.2015, nell’evidente intenzione di limitare per quanto possibile ulteriori perdite di tempo.
Il 26.01.2016, quando sono trascorsi quindi 57 giorni da detta notifica (rispettando in tal modo il termine minimo di 40 giorni maggiorato di quanto eventualmente necessario in ipotesi di eventuale opposizione la cui notifica sia nel frattempo già stata richiesta a mezzo posta), viene chiesta l’apposizione della formula esecutiva.
Tuttavia in data 01.03.2016 (ossia a distanza di altri 35 giorni) tale richiesta non viene accolta con la seguente “ordinanza di integrazione documentale”: rilevato che nella mail inviata non sembra contenuto il file relativo all’attestazione di conformità degli atti notificati all’originale, invita … a precisare, valutare se insistere nell’istanza o rinnovare la notifica; il tutto entro 40 giorni pena il rigetto dell’istanza.
Il giorno successivo viene immediatamente eseguita la richiesta integrazione documentale, depositando copia, completa di relata di notifica, della notificazione a mezzo pec del ricorso e pedissequo D.I., precisando che è stata effettuata la notifica dei duplicati degli stessi, estratti dal fascicolo telematico di cancelleria, che non necessitano di attestazione di conformità. Non senza restare peraltro a completa disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti o altro.
Dopo ben altri 30 giorni, in data 1.04.2016, perviene il provvedimento di rigetto che qui si trascrive: “ritenuto che la notifica del decreto ingiuntivo debba essere rinnovata; considerato, invero, che in base al disposto dell’art. 3 bis co. 5 L. 53/94, in caso di notificazione con modalità telematica a mezzo posta elettronica certificata, quando l’atto da notificarsi consiste, come nella specie, in documenti informatici, l’avvocato redige la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata, che deve contenere: (…) g) l’attestazione di conformità di cui al comma 2 (attestazione di conformità con le modalità previste dall’articolo 16 undecies del decreto legge 18 ottobre 2912 n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012 n. 221); rilevato che in specie la relata di notifica non contiene la necessaria attestazione di conformità, la quale non può essere sostituita da attestazione separata, stesa dopo il compimento della notifica e, dunque, non notificata al debitore; PQM rigetta l’istanza.
L’ordinanza di rigetto, benché datata 1° aprile, è notificata il successivo 4 aprile, ciò che toglie ogni dubbio escludendo che, nonostante la sua palese incongruenza, si sia trattato di uno scherzo… Ciò appare evidente allorché, nell’illusoria intenzione di chiarire lo spiacevole equivoco, il tentativo di dialogo del legale col magistrato in questione sortisce in un nulla di fatto, stante la sin troppo evidente volontà del giudice di evitare ogni ragionamento sul punto.
A quel punto si sono aperti nuovi scenari: non si dimentichi, infatti, che nel sistema previgente la verifica per il rilascio della formula era di competenza del cancelliere ex art. 153 disp. att. c.p.c. e, in tale situazione, è stato ritenuto che avverso il rifiuto di rilascio della formula esecutiva sia utilizzabile analogicamente il ricorso al capo dell’ufficio giudiziario ai sensi dell’art. 476 co. 2 c.p.c., pur potendosi ripresentare nuovamente, senza problemi, la medesima istanza.
È pur vero che tale ipotesi avrebbe possibilità di diverso esito pressoché nulle, osservando la disponibilità al riesame critico delle proprie posizioni già manifestato in concreto dal giudice che sarebbe nuovamente stato investito della richiesta.
Di qui il ritorno a metodi meno “telematici” ma senz’altro più “umani”, dove il ragionamento ed il confronto costruttivo risultano veri protagonisti: la pazienza del legale di riuscire a trovare un colloquio col capo dell’ufficio giudiziario unita a quella di quest’ultimo (per di più in veste di reggente e nemmeno di titolare) nell’ascoltare ha consentito di trovare la soluzione.
Una nuova richiesta di formula esecutiva particolarmente dettagliata viene quindi depositata dopo tale colloquio in data 14.04.2016, ovviamente segnalando preventivamente la delicatezza della questione così che del suo esame si prendesse cura l’intero collegio onde evitare che facesse la stessa fine della precedente.
Si allega copia di tale nuova istanza (qui) in cui viene abbondantemente illustrata la problematica, con particolare attenzione alla differenza esistente tra “copia” e “duplicato” di documento informatico: infatti, come precisato dall’art. 1 del Codice dell’Amministrazione Digitale, ai sensi del comma i-quater la copia informatica di documento informatico è il documento informatico avente contenuto identico a quello del documento da cui è tratto su supporto informatico con diversa sequenza di valori binari; viceversa, ai sensi del comma i-quinquies del medesimo articolo, il duplicato informatico è il documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originale.
Ne deriva che i duplicati sono originali a tutti gli effetti e proprio per ciò scontano un trattamento diverso dalle copie. Solo per queste ultime, infatti, è prevista l’attestazione di conformità dal comma 9 bis dell’art. 16 bis del D.L. 179/2012 (come modificato dall’art. 52 del D.L. 90/2014 e poi dal D.L. 83/2015).
Ma la parola più autorevole è rinvenibile nell’art. 23 bis del C.A.D. (Codice dell’Amministrazione Digitale): secondo il comma 1 “i duplicati informatici hanno il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di legge, del documento informatico da cui sono tratti, se prodotti in conformità alle regole tecniche di cui all’articolo 71”, mentre, secondo il comma 2, “le copie e gli estratti informatici del documento informatico, se prodotti in conformità alle vigenti regole tecniche di cui all’articolo 71, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale, in tutte le sue componenti, è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato o se la conformità non è espressamente disconosciuta”.
Alla luce della nuova richiesta, infine, il D.I. richiesto in data 19.10.2015 ed emesso il successivo 30.11.2015, è stato infine reso esecutivo in data 21.04.2016. L’iter cronologico della vicenda è fedelmente riassunto nello “storico” estratto dal P.C.T. che qui pure si allega (qui).
Ovviamente, 185 giorni per ottenere un titolo esecutivo in difetto di alcun errore o carenza dell’istante così come di alcuna attività da parte dell’ingiunto appare a tutti un tempo decisamente eccessivo.
Nelle storie di un tempo era possibile rinvenire sempre, alla fine, una “morale”; ovviamente la nostra vicenda non pretende tanto, tuttavia un insegnamento è sempre possibile trarlo, ed anzi forse anche più di uno:
- l’introduzione della telematica nel processo civile, anche grazie alla scarsa chiarezza normativa ed i continui orientamenti tentennanti sotto vari aspetti, si traduce nella necessità di un maggiore approfondimento anche di questa materia da parte di tutti gli operatori del diritto;
- essa non può e non deve tradursi solo in un sovraccarico di incombenze per l’avvocatura (si pensi alle c.d. copie di cortesia, ma non solo) ma deve necessariamente accompagnarsi ad una maggiore utilità proprio per chi avanza domanda di giustizia avanti all’A.G.O.;
- elemento irrinunciabile, soprattutto, resta l’uso da parte di tutti gli operatori del diritto del c.d. “buon senso” gestito gli uni assieme agli altri, scavalcando le rispettive categorie di appartenenza, in un clima di dialogo diretto che, a dispetto dell’informatica, i fatti dicono essere ancora utile ed anzi necessario.
Un particolare ringraziamento si ritiene qui di dover manifestare al collega Avv. Francesco Tregnaghi per il supporto successivamente dato a conferma dell’esattezza del modus procedendi seguito in occasione della notifica del citato D.I., e, sotto altro aspetto, al Dott. Fernando Platania, Presidente reggente del Tribunale di Verona, per l’attenzione e la disponibilità data ai fini della ricerca di una soluzione del problema.
Con l’auspicio che ciò non si ripeta e che semmai chiunque possa trovare la strada corretta da seguire.